Desiderio e mancanza

DE-SIDUS è il termine latino che si compone di un de privativo e sidus che significa stella
Pubblicato il 29 agosto 2014 in Amore.

In questi giorni, riflettendo sul mistero dell’amore, mi sono lasciato condurre, nel corso dei miei pensieri, dalle associazioni che guidano il nostro processo primario e dunque la nostra mente inconscia. Così , come per incanto, mi sono tornate alla mente le nostalgiche parole che Seneca, nel suo epistolario, scriveva all’amato discepolo Lucilio: “E’ davvero un uomo poco sensibile chi ha bisogno di un luogo familiare per ricordarsi di un amico. Tuttavia talvolta avviene che questi luoghi carichi di ricordi evochino l’affetto che era rincantucciato nell’animo nostro; non danno nuova vita ad un affetto già estinto, ma lo svegliano dal sonno; come la vista di qualcosa, che fu caro al defunto, rinnova nei superstiti il dolore … Mi stai tutto davanti agli occhi, specialmente al momento del distacco. Ti rivedo mentre tenti di frenare le lacrime e fai sforzi per impedire che erompa la piena dei tuoi affetti.

Mi sembra di averti lasciato poco fa: e che cosa, non è avvenuto poco fa, se si rievoca il passato?”

Può, anche la banalità di feste usurate dalla commercializzazione, prestarsi ad essere questo simulacro, questo luogo della memoria, dove le passioni ritrovano lo struggente potere che dà loro la percezione di una assenza.

Il termine assenza risulta essere connesso con il senso etimo-dinamico della parola desiderio. DE-SIDUS è il termine latino che si compone di un de privativo e sidus che significa stella, astro. Possiamo così intendere il desiderio come la condizione originariamente connessa con la percezione di una mancanza e l’originarsi di una attesa di fronte ad un cielo privo di stelle.

La sensazione di una perdita o di una struggente mancanza, legata a quella insostituibile rappresentazione è, dunque, il desiderio.

E quell’affetto, intenso e struggente, può avere i toni di una passione capace di promettere la gioia, se si accompagna alla speranza di una ragionevole attesa, o il dolore, se la disperazione riesce ad oscurare, senza alcuna speranza, irrimediabilmente, quel cielo. Tutto ciò ci richiama alla mente il mito, narrato nel Simposio di Platone da Aristofane, degli esseri primigeni. Divisi dagli dei, per punire la loro arroganza, in due metà, l’una erra in cerca dell’altra, per cercare di colmare quella che è divenuta una strutturale insufficienza.

L’amore è, per chi ne sia privo, desiderio di qualcosa che non si ha più, ma di cui si sente una sorta di nostalgia; è quindi essenzialmente mancanza bruciante e presente. Per chi già lo possieda, è una sorta di ritrovamento, proiezione e al contempo edificazione demiurgica di un universo affettivo che ci completa e ci rigenera. Così l’amore diviene un prendersi cura dell’amato, affinché quella agognata e ritrovata fusione, non venga oscurata da nessuna coltre di nubi e permanga astro splendente anche nella notte più lunga e conforto che non tramonta nella più inquietante oscurità.




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